Delle due rappresentazioni dell’oratorio di un’ora scarsa “Crepuscular Hour” – la prima è avvenuta nella sua Oslo nel 2010 – la norvegese Maja Solveig Kjelstrup Ratkje (classe 1973) ha scelto, per l’incisione su disco, la seconda in Uk del 2012, anche trasmessa via broadcast. Il nuovo missaggio evidenzia l’adozione, non ultimo simbolica, del numero tre: tre le coppie di musicisti (tra live electronics e strumentazione varia), tre le sezioni del coro, tre le parti della composizione.
L’intero impianto è comunque volto all’oscurità più tremebonda. Volatili dissonanze sinfoniche fanno da overture. Attacca un fugato dei baritoni e un coro di monache (Ratkje dimostra un gusto tutto Purcell per le armonie corali), mentre crescono gli strepiti dei rumoristi, spasimi in sottofondo e tremori che rendono una ulteriore eco. Al culmine della tensione, il suono erutta sovrastando il resto, deflagrando in mille rivoli i cori, scaraventandoli ai quattro angoli del cosmo, qualcosa da far strabuzzare Ligeti. Questi primi 18 minuti sono un affresco di potenza frastornante.
La tempesta capitola in un silenzio di voci innodiche distanti. La trance si arricchisce di tecniche fonetiche (sibili, schiocchi, gargarismi) adottate, per assurdo, dai dispositivi elettronici e non dalle ugole. Continuum ondulanti in mezzo allo sfacelo convergono poi in un om con contrappunto stridulo e affabulazioni. Una nuova pausa avvia una nuova innodia, ancor più arcaicamente rinascimentale, che subito fa scaturire uno tsunami d’organo che la trasforma in gorgo apocalittico d’invocazioni colossali e babeliche, una marea con impennate terribili, fino agli ultimi titanici attimi di panico universale con tutti gli strumenti coinvolti ai limiti delle loro possibilità.
Seguito di “Voice” (2002), “Adventura Anatomica” (2006), “River Mouth Echoes” (2008), “Cyborgic” (2009), ma anche delle sperimentali edizioni limitate “Erwartung” (2004), “Stalker” (2006), “Teip” (2007). Di questi nessuno, però, raggiunge la metanoia e la catarsi mistica di quest’“ora crepuscolare”, nonostante tralasci il vivido gestualismo degli esordi. Lo conduce, semmai, in cavità più ampie, adottando i testi copti del Nag Hammadi, e specificando con la maniacale tetraggine di una quaresimalista che l’esecuzione avvenga in una cattedrale e che coro e musicisti circondino il pubblico. Componimento estremo, è anche una prova d’impressionismo di suono rifratto, ispirata dalla luce al tramonto quando attraversa la coltre dell’atmosfera. Direzione: James Weeks. Dvd allegato.
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