Bad Bonn Kilbi festival (IT)

Mescalina:

Ve lo confesso, il motivo che ci ha spinto a fare 6 ore di macchina per raggiungere Friburgo (SW) è il fatto che gli headliner dell’11 giugno sarebbero stati i norvegesi Motorpsycho: quest’anno la band ha come dire “disertato”, causa tour in Giappone, la consueta data italiana, e noi ormai fans spregiudicati ed assuefatti non potevamo saltare l’appuntamento annuale. Documentandoci sulle presenze di Bad Boon, ci siamo accorti che avremmo assistito ad un vero evento culturale, lontano dal concetto di festival-mainstream, dove sperimentazione, avanguardia e raffinatezza sarebbero stati gli elementi più interessanti della rassegna.

Giungiamo al luogo verso le 19,00, da tabella di marcia risultiamo essere due ore in ritardo rispetto alla scaletta dei gruppi e conoscendo gli svizzeri abbiamo poco di che rallegrarci. Bad Bonn è un circolo (locale) culturale, tipo il Bloom di Mezzago, l’Hiroshima di Torino o il Covo di Bologna per intenderci, si trova immerso nella campagna e si compone di una casa (dove si terranno le performance d’avanguardia) e un ampio spazio aperto, dove si esibiranno diverse band internazionali.

Gli Psychotronn II e gli Everest rimarranno solo un nome visto che non avremo il piacere di ascoltarli: colpiti dall’organizzazione, artigianale ma perfetta, con tanto di “perquisa” all’entrata, giungiamo in tempo per l’inizio di Maja S. Ratkje e Strotter Inst. Rapiti da questa fantastica atmosfera che sa tremendamente di sperimentazione, siamo richiamati da un lungo suono psychotronico. Innanzitutto Maja è compaesana (vive a Trondheim) del trio sopraccitato, di cui parleremo fra poco, è una compositrice (diplomata all’accademia di Oslo), performer free-lance, ama tremendamente le sinergie che la vedono collaborare con una miriade di artisti, jazz maker come Fe-mail e Spunk di cui lei è componente stabile. Oggi è accompagnata da Strotter Inst. ovvero un artigiano pazzo del giradischi, del lo-fi, dei loop e di vecchi cimeli, che nelle sue mani fanno miracoli: davanti a loro si estende un mini-museo di elettrotecnica musicale, vecchi giradischi che Strotter ha trasformato in congegni ritmici dove la puntina scandisce il tempo sulle composizioni improvvisate che Maja effettua dal vivo, looppando, modulando e synthetizzando la sua voce attraverso echi e riverberi.

Tutto il suono è manipolato rigorosamente in analogico per mezzo di un’effettistica vintage per chitarra, aggiunta alle interferenze di un theremin. La struttura dei brani è molto semplice ma esercita, nei numerosi presenti, un forte carisma (complice anche la bellezza di Maja). Strotter dal canto suo è un vero genio, gli strumenti sono i suoi vecchi piatti, il suono cambia a seconda dei “dischi” che fa girare, dai quali spuntano chiodi e viti che pizzicano corde di nylon che a loro volta sollecitano le puntine. Ci sembra di essere a casa e assistere ad una performance di qualche discepolo di “Bar La Muerte”. Assolutamente fantastici, prendete nota http://www.strotter.org – http://www.ratkje.com.

Il nostro entusiasmo è poi spezzato del live outdoor dei June Tempest (http://www.badbonn.ch) capitanati dall’eclettico violoncellista e compositore svizzero Bo Wiget, già front-man di numerosi progetti hard core, free-jazz imrovvisation. La band fonde un suono molto tritato, spezzato, con pochi accenni alla melodia. Non dubitiamo della bravura di Bo, ma, forse la scarsa importanza data al suo strumento, che accenna ad esistere solo in alcuni momenti, forse la carica troppo potente di un batterista punk o l’elettronica posta in modo troppo casuale, non ci fanno apprezzare la performance nel suo insieme. Importante la ritmica di Massimo Zu (ospite) al basso, che a parere nostro, sorregge tutta la struttura dei brani, spiccando molte volte come protagonista negli attacchi come nei cambi di ritmica. Forse il duo da solo avrebbe reso meglio le intenzioni: www.bowiget.com

A questo punto l’atmosfera uggiosa al di fuori del Bad Bonn café si è dissolta, una nebbiolina mistica riveste la campagna che ci circonda, l’imbrunire avanza creando già una sorta di raccoglimento all’interno della casa per gli attesissimi Mono. C’è già un capannello di gente davanti al palchetto, da li a poco si esibirà la band strumentale giapponese, mentre la sala si riempirà all’inverosimile: rimaniamo positivamente impressionati già dai primi brani, strutturati più o meno alla stesa maniera, iniziano tutti dolcemente giocando su chorus di chitarra ed effettistica tipicamente post-rock per poi dare vita ad esplosioni floreali semidistorte. L’armonia ci culla e ci fa subito innamorare di quel suond strumentale, fluttuante e dal lontano sapore d’oriente: nonostante la carica innovativa trasmessa dal quartetto di Tokyo (capitanato dal chitarista Taka), autore di una recentissima release ” Walking cloud and deep red sky, Flag fluttered and the sun shined”, in cui molti accenti sonori ricordano a tratti band italiane come Votiva Lux ed Ultraviolet Make Me Sick. E’ stato un gran successo, pubblico numeroso ed appagato, mentre il nostro taccuino si arricchisce di un nuovo nome: http://www.canal.ne.jp

Ci si avvicina sempre più all’ora fatidica, mentre fuori è già buio, sul palco esterno si stanno esibendo i Life Of Agony. Sicuramente la funzione di quest’ultimi, in un festival del genere, è da gruppo civetta, attirando a se un discreto numero di fun che vediamo saltare e pogare gioiosamente ai piedi di un palco farcito di amplificatori. La band non suona male, ha un discreto suond hard rock, anche se azzarda spesso al croos-over in odore di “pop-metal”. La tecnica nella ritmica quanto negli asoli chitarristici risulta un po’ piatta senza grossi picchi emozionali.

Dopo aver assistito a qualche episodio sonoro di Haco (indoor), e avere scoperto che il suo studio di registrazione si chiama come la nostra webzine, scopriamo l’ennesimo talento eclettico: notiamo che molti di questi artisti provengono da ambienti accademici, spesso legati con la musica classica, come testimonia la presenza del violoncellista Sakamoto Hiromichi (Ash in the Rainbow). Questa volta è puro minimalismo imbastardito di elettronica in disfacimento su riproduzioni sonore ambientali a stimolare ancora la nostra curiosità: http://www.japanimprov.com/haco/index.html.

Raggiungiamo le prime file mentre Ben, Gebbard e Snah stanno eseguendo il sound check: come sempre il trio norvegese ringiovanisce sempre di più, sarà il loro dna nordico, ma sembra proprio che gli anni non passino per loro. La strumentazione tipicamente vintage e l’assenza di Slagsvold al mellotron ci fa intuire che non sarà facile mantenere le prime posizioni: ci aspetterà un concerto di puro rock and roll! Le aspettative non sono deluse, ma l’apertura con “Uberwagner or a billion bubbles in my mind” e “Starmelt/lovelight” lamentano l’assenza di Morten (missing) nel calibrare i suoni al mixer. I ragazzi si riprendono presto: dopo una registratina alla voce di Ben, ripartono con la loro solita carica. La performance prosegue alla grande rispecchiando, nella tecnica, lo standard dei loro numerosi concerti e confermando la band come una delle migliori nella dimensione live: tra grandi estetismi sonori negli assoli di Snah e la potente precisione nelle ritmiche di Gebbard e Ben, lo show di oggi sembra un pizzico più naturale, venuto fuori spontaneamente senza preparazioni premeditate. Si distinguono alcuni episodi tipo il blues’n’roll in acido, dedicato alla morte di Ray Charles, o la cover in puro stile garage sixties degli MC5. I ragazzi di Trondheim hanno dato il meglio pescando in lungo e in largo dalla loro vasta discografia: brani classici, come la psichedelica “Walking on the water”, seguita a ruota da “In The Family” e “Vanishing point”, quest’ultima tratta dall’EP di B-Side “Barracuda”, fanno in modo che vecchi e nuovi fans possano tornare a casa soddisfatti, tra momenti più pop e divertenti come “Go to California” e “Neverland”, ed esecuzioni di infinita bellezza come la cavalcata psichedelica “The wheel”, di ben 20 minuti. Il trio non fa attendere l’acclamato bis uscendo dal back-stage per ben tre volte, continuano a suonare fino a sfinirsi: giunti al termini vediamo Ben, nelle note conclusive, barcollare dalla stanchezza, vediamo il sudore di Gebbard evaporare dal suo corpo, vediamo Snah che ci sorride. Siamo certi di avere assistito all’ennesimo concerto di una grande piccola Band.

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